Stretching: quando serve, ed a chi

Vorrei cominciare ad occuparmi della questione se lo stretching serva sempre, a tutti.
È del tutto ovvio che le palestre e coloro i quali insegnano e vendono metodi o corsi per lo stretching lo consiglino a chicchessia ed in ogni situazione, come una panacea. Ma è possibile, con un approccio più deterministico, riuscire a capire se è davvero così o se questa pratica abbia delle controindicazioni?
Vediamolo insieme.

La prima cosa da dire, a mio avviso la più importante, è che lo stretching è capace di modificare il tono muscolare a riposo; in altre parole il muscolo a riposo, condizionato da buone sedute di stretching, esercita una trazione minore sui segmenti ossei sui quali insiste.
La riduzione del tono muscolare a riposo determina anche una maggiore allungabilità del muscolo. Non date retta a chi parla invece di un aumento dell’elasticità: si tratta di una caratteristica ben diversa che poco ha a che fare con l’allungabilità, che è invece la qualità che permette di aumentare l’escursione articolare e di conseguenza l’ampiezza dei nostri movimenti.


L’ipertono muscolare, ovvero quando il muscolo è troppo corto

Come abbiamo visto, la nostra statica e dinamica dipendono dagli equilibri che si determinano tra i muscoli che insistono sulle varie articolazioni. Fatto salvo che un certo tono muscolare è naturalmente auspicabile, è dunque anche importante che vi sia buon equilibrio muscolare, cioè la giusta proporzione di tonicità tra i vari muscoli che servono un’articolazione.

Nell’articolo linkato qui sopra abbiamo anche visto che tanto un muscolo ipotonico che uno ipertonico (rispetto al complessivo equilibrio articolare) modificano l’assetto statico e dinamico del corpo. Un muscolo ipotonico andrebbe tonificato, mentre per un muscolo ipertonico è necessario

  • evitare di allenarlo in prevalente corsa interna favorendo una prevalenza della corsa esterna;
  • aumentare la sua allungabilità con esercizi di stretching mirati;
  • valutare se altri fattori contribuiscono a mantenere il tono muscolare anormalmente elevato.

Tali fattori possono essere ricercati ad esempio in uno stato patologico (infiammazione, contusione o comunque dolore) che induce un ipertono difensivo o cautelativo nel muscolo, il quale può agire, in tali casi, come una sorta di tutore articolare.

Possono però esserci casi nei quali l’assetto corporeo risponda prevalentemente a questioni più introspettive, di tipo rappresentazionale. Come abbiamo visto, un muscolo è tutt’uno con sistema nervoso e reagisce sempre come unità funzionale neurosomatica: i segnali che contribuiscano a mantenere uno stato inadeguato di iper- o ipotonicità possono essere di origine centrale, cioè provenire dal sistema nervoso, che abbiamo visto operare in stretta simbiosi con i parametri mentali rappresentazionali. Spesso si intuisce di trovarsi di fronte a tale situazione quando il semplice lavoro meccanico periferico non sembra efficace a modificare la situazione attuale.

Agire con lo stretching sui muscoli ipertonici

A questo punto il lettore attento potrà chiedersi: ma se l’attività muscolare è sempre legata all’attività del sistema nervosa, come può avere effetto un’attività come lo stretching, che agisce solo sull’aspetto periferico del corpo?

E qui dobbiamo riprendere il concetto di unità funzionale neurosomatica, e capirlo bene: perché, se il sistema nervoso centrale influenza la periferia, accade ovviamente – ed auspicabilmente – il contrario: il contatto, gli eventi fisici e percettivi, le sensazioni, le relazioni… ogni esperienza contribuisce, per un verso o per un altro (e spesso per più versi contemporaneamente) alla nostra evoluzione complessiva.

Lo stretching, che non fa eccezione, intervenendo anche sul sistema nervoso ci fornisce segnali ed esperienze che possono riscrivere parte dei nostri pattern rappresentazionali (tramite meccanismi complessi di cui non ci occuperemo qui); è quindi capace di correggere la postura, attraverso un sistema di controllo che è comunque, sempre ad azione centrale. Ed infatti (come abbiamo sottolineato alla fine della sezione precedente), essendo la nostra postura funzione di più parametri e non di uno solo, può accadere che lo stretching non riesca a modificarla perché altri fattori risultano prevalenti.

Nel caso di una reattività normale agli stimoli allenanti, però, la possibilità di utilizzare lo stretching per intervenire sul tono muscolare ci offre diversi strumenti di azione. Vediamone tre.

Nella nostra fisiologica naturalezza sono come prescritte alcune qualità e capacità, come ad esempio la possibilità di piegarci in avanti in piedi, a gambe tese, e toccare (senza sforzo) i piedi con le mani (se l’operazione vi crea fastidio, non fatelo). Questa capacità può essere limitata da una scarsa allungabilità dei muscoli della bassa schiena, e dei flessori della gamba ed estensori della coscia (principalmente i bicipiti femorali, posti nella parte posteriore della coscia) che limitano sia la flessione del busto in avanti che l’anteroposizione del bacino. Se la tensione muscolare costituisce una limitazione per l’escursione articolare, dopo qualche seduta di stretching vediamo che siamo in grado di portare, senza alcuno sforzo, le mani più vicine ai piedi: la limitazione è stata ridotta o del tutto rimossa, e possiamo ora eseguire movimenti più ampi. La nuova acquisizione articolare può però regredire se non allenata, soprattutto se acquisita da poco tempo o con sforzo.

Esistono, poi, diversi casi nei quali un atleta può desiderare di aumentare la propria escursione articolare: accade, ad esempio, negli sport nei quali siano richieste certe figurazioni del corpo (tuffi, ginnastica artistica, ginnastica ritmica, nuoto sincronizzato, pattinaggio artistico, danza…): attività nelle quali la difficoltà a raggiungere e mantenere certe posizioni determina un immediato abbattimento del giudizio estetico e quindi della prestazione. In queste attività lo stretching rappresenta, soprattutto da giovani, una componente allenante importante.
In altri casi, nei quali non c’è giuria estetica, si parla invece di aumento di efficacia nel gesto tecnico: la possibilità di intercettare la palla più in alto nel soccer, ad esempio, è legata anche alla capacità di sollevare l’arto inferiore teso; la possibilità per l’alzatore di una squadra di volley di tirar su la palla dalla posizione di accosciato su una gamba, con l’altro arto teso e divaricato lateralmente, dipende dall’allungabilità di un certo numero di muscoli della coscia, tra cui gli adduttori…
Di esempi se ne potrebbero fare davvero tanti. Esistono, poi, infinite altre situazioni reali, magari più difficilmente sistematizzabili dal punto di vista della tecnica specifica, nelle quali uno sportivo (magari solo una o due volte in una performance) avrebbe potuto trarre vantaggio da una maggiore articolarietà: se solo avesse potuto allungarsi… quel centimetro… di più…

In generale, dobbiamo pensare che tutte le nostre possibilità di movimento sono legate a quanto possiamo contrarre i muscoli ed a quanto possiamo rilasciarli: spesso l’efficacia di una tecnica è legata anche a muscoli magari poco evidenti o importanti, ma che fanno la differenza nella qualità dell’esecuzione. Al bravo tecnico valutare di volta in volta, e decidere se la prestazione del suo atleta possa essere limitata (ed in quali aspetti e tecniche) da una ridotta allungabilità muscolare.

Un muscolo diventato ipertonico (cioè che abbia aumentato il proprio tono a riposo) in seguito ad esercizi di potenziamento, o perché allenato prevalentemente in corsa interna, comincia ad esercitare una trazione maggiore sui suoi capi tendinei. In certi muscoli particolari questo può determinare importanti modifiche posturali. È il caso ad esempio del muscolo grande pettorale, che se ipertonico tira la spalla in avanti e la ruota verso l’interno con uno sgradevole effetto estetico. In questo caso, cominciare ad allenare il pettorale con le tecniche suggerite qui sopra per i muscoli ipertonici, e soprattutto diventare consapevoli dalla differenza tra una postura bella a vedersi ed una dismorfica darà presto ottimi risultati.

Applicando queste osservazioni all’attività sportiva, anche in questo caso possiamo parlare di capacità funzionali: un pettorale ipertonico, ad esempio, può limitare la retroposizione del braccio e quindi l’ampiezza dei suoi movimenti; ancora, un nuotatore di farfalla o delfino, che ha bisogno di esprimere tutta la potenza nell’articolazione della sua spalla, non può permettere che gli esercizi di potenziamento limitino l’ampiezza dei suoi movimenti.

In questi casi lo stretching può rivelarsi molto utile, soprattutto se l’atleta ha la tendenza a sviluppare muscoli molto tonici o mostra già a monte poca facilità ad un movimento articolare ampio.

Nel prossimo post: quando ed a chi lo stretching non serve.

Immagine d'apertura courtesy extratour.blog.de
Immagine successiva courtesy 100salute.it
Share
This entry was posted in Fisiologia, Fitness, Pensiero, Performance, Sport, Wellness and tagged , , , , , , , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>