Le cose che fanno bene

Nel post precedente abbiamo parlato soprattutto delle cose che fanno male. Anche sulle cose universalmente note per far bene è opportuno ragionare con attenzione. Purtroppo al mondo non c’è – o non mi è noto – qualcosa che faccia bene a tutti, sempre, in qualsiasi modalità di assunzione, quantità e frequenza: nessuna forma di allenamento, azione o attività; nessun cibo, bevanda, sostanza,  aspirina, radiazione; nessun sentimento, emozione o forma di meditazione. Siamo creature complesse e mutevoli, mai uguali a noi stessi; abbiamo – in momenti e fasi diverse, ed a volte anche contemporaneamente – diverse necessità e piaceri, a volte contraddittori tra loro: quando abbiamo freddo ci piace il caldo, quando abbiamo caldo cerchiamo il freddo; quando abbiamo fame ci piace mangiare, quando siamo molto sazi la stessa idea del cibo ci dà fastidio; quando abbiamo carenza di liquidi ci serve acqua, ma se siamo iperidratati perfino l’acqua può danneggiarci. Ci sono pensieri molto belli ed utili da pensare, ma un pensiero che diventi ossessivo non ci aiuta più a crescere. Per fare un esempio più complesso, è tipico in campo medico il caso in cui una persona denuncia carenza di calcio osseo, ma assumendo più calcio (in supplementazione e per via alimentare) si ammala di calcoli di calcio ai reni senza che la carenza ossea sia stata minimamente compensata.

Allenarsi ad una pratica psicofisica è una cosa straordinaria, ma esistono quantità, intensità e frequenze ottimali oltre le quali quella pratica, anziché perfezionarci, ci stanca. Ricordo ancora una triatleta americana cui prestavo consulenza, che rimase attonita quando per la prima volta le suggerii di ridurre le quantità di lavoro in prossimità di una gara: per lei era un concetto assurdo, sembrandole che più ci si allena, più forti si diventa. Ugualmente semplificatorio è il ragionamento di chi, una volta deciso che una certa classe di alimenti faccia male, li elimina definitivamente dalla propria dieta. Anche in questo caso ho un ricordo: un giovane papà, affamato di conoscenza e di olismo, il cui sogno era di allevare suo figlio nella massima possibile purezza: solo aria pulita, acqua di fonte, cibi assolutamente biologici, freschissimi e non trattati; niente chimica, vaccinazioni, profumi; niente televisione, vita all’aria aperta, attività sana. Un programma del genere è adatto ad una comunità che viva tutta insieme, isolata, secondo questi principi (ed anche così sarebbe necessario verificare come venisse realizzato): in tutti gli altri casi produce un individuo disadattato, e soprattutto dalla salute fragile, soggetto a potenziali violente reazioni appena venga accidentalmente in contatto con una delle sostanze per anni così accuratamente evitate. Questo individuo verrà anche a contatto con persone, cose, situazioni che lo porteranno necessariamente a contraddire il proprio stile di vita; e non è vero che uno stile di  vita “puro” ci rafforza: uno stile di vita “puro”, al pari di uno “sporco” (?) ci specializza, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso. In altre parole, quando viviamo in un certo mondo dobbiamo imparare a trarne il massimo gestendone le dinamiche, non rifiutarlo. O potremmo uscirne – se del caso – piuttosto malconci. Restando ai cibi, un alimento che più ne mangiamo, meglio è, purtroppo non esiste: la magia non risiede nell’elemento esterno, nel cibo o nel farmaco (che quindi diventa miracoloso), ma nell’ottimizzazione: nell’assecondare, cioè, le esigenze del momento rispetto ai nostri fini e progetti. Pensateci, e non troverete un alimento (acqua inclusa) per il quale, a seconda della nostra condizione del momento, non esista un limite fisiologico e psicologico ottimale oltre il quale ogni beneficio cessa, e anzi cominciano i problemi. Perfino del pesce, la proteina più nobile ed affine al nostro metabolismo, non si può abusare: mangiando pesce tre volte al giorno per anni si creerebbero diversi vizi metabolici, fatica, iperspecializzazione di enzimi, coenzimi, ormoni… senza contare il fatto che se mangiamo sempre pesce non c’è spazio per altro, ed allora dovremo rinunciare giocoforza a quote ottimali di tanti altri alimenti che pure hanno funzioni importanti. Va da sé che, così come si può vivere di sole bacche e frutti, si può probabilmente vivere di solo pesce… Qui parliamo infatti di qualità di vita, non di pura sopravvivenza. Sull’alimentazione avremo modo di tornare con molti approfondimenti monografici. Per il momento, buona e ottimale varietà : )

Image: Totò — Courtesy luigidelia.it
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