L’impostazione della seduta di allenamento – il defaticamento, uno dei segreti dei campioni

Tre fondisti africani al defaticamento dopo una gara

Tre fondisti africani al defaticamento dopo una gara

Dopo aver trattato la parte iniziale dell’allenamento o della gara – il riscaldamento – ci occupiamo oggi della coda, cioè del defaticamento. In questo modo tireremo le fila dell’andamento gaussiano, l’andamento più vicino ai ritmi dei fenomeni naturali, concetto-chiave che ci accompagna praticamente dal primo post.
Vedremo oggi che il modo in cui chiudiamo una sessione di allenamento o un impegno agonistico non è indifferente, e può influenzare il nostro recupero e il nostro benessere. È importante capire che tecniche quali riscaldamento e defaticamento, benché indubbiamente evolute, non sono esclusive di atleti professionisti o di alta qualificazione ma rappresentano il modo in cui le nostre fisiologie preferiscono funzionare, si tratti di salire le scale a piedi con le buste delle spesa, o di preparare un incontro di boxe o il saggio di danza della scuola. Eppoi, suvvia, perché non pretendere il meglio dai nostri allenamenti?

Abbiamo detto più volte da queste pagine che i migliori risultati – in termini sia di pura performance che di benessere e di qualità della vita – si ottengono favorendo l’andamento gaussiano delle nostre attività. Concretamente, andamento gaussiano significa che

  1. ogni allenamento dovrebbe iniziare con il riscaldamento, e finire con il defaticamento;
  2. al centro dell’allenamento, quando siamo pronti a dare il massimo, collocheremo la parte più intensa della seduta;
  3. prima e dopo della peak performance potremo inserire esercizi più blandi: tecnica, scioglimento, ritmica, propriocettiva…

Sviluppare questa visione e questa consapevolezza è una buona abitudine, da acquisire anche se i vostri allenamenti sono molto blandi.
Voglio farvi due esempi di andamento gaussiano in una seduta, uno per un allenamento leggero ed uno per un allenamento molto impegnativo. A voi la libertà di trarne spunto ed ispirazione per altri sport ed altre situazioni.

1. Usciamo per il nostro allenamento di corsa lenta e lunga:

  1. riscaldamento generale e specifico;
  2. accenni di corsa sempre più lunghi alternati a camminata ed esercizi in piedi;
  3. corsa;
  4. camminata alternata a brevi tratti di corsa fino alla normalizzazione del fiato;
  5. esercizi di scioglimento, di agilità e di ritmo in piedi;
  6. stretching;
  7. doccia-massaggio.

2. Una sessione invernale di un quattrocentista dell’atletica leggera:

  1. riscaldamento generale e specifico;
  2. esercizi di ritmo e di tecnica;
  3. uscita dai blocchi di partenza, allunghi e sprint fino a 60 m;
  4. serie di ripetizioni: 3×(150-300, 200-250) metri all’85% dell’andatura massima con recupero al passo tra le prove e 4′ tra le coppie;
  5. esercizi propriocettivi e di agilità;
  6. 10′ di corsa lenta e lunga;
  7. stretching;
  8. doccia-massaggio.
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Individuare la parte più intensa dell’allenamento

Una prima indicazione deriva dalla via energetica prevalente nella pratica o nell’esercizio: lo stretching è caratterizzato dall’intensità minore, seguito dalle attività prevalentemente aerobiche.
Le attività anaerobiche si collocano nella fascia di intensità più alta. Se vengono effettuate nella stessa seduta, quelle alattacide (salti, balzi, brevi sprint, sollevamento pesi) dovrebbero precedere quelle lattacide (sprint prolungati, vasche nuotate ad alti regimi, scalate in bicicletta, potenziamento muscolare, tratti di vogata a ritmi elevati…). Sarebbe difficile (e poco allenante) fare il contrario: le attività anaerobiche alattacide allenanti sono caratterizzate da un forte impegno neuromuscolare e ricercano solitamente potenza, reattività ed esplosività; per alleare queste caratteristiche è opportuno che l’organismo sia relativamente fresco e non carico di acido lattico.

Solitamente l’intensità di una pratica di allenamento è direttamente proporzionale alla velocità di esecuzione: fare piegamenti delle braccia al ritmo di due ripetizioni al secondo fino all’esaurimento è più faticoso che fare una ripetizione al secondo fino all’esaurimento, sia per la maggiore potenza energetica impiegata che per il maggiore impegno del sistema nervoso.

La possibilità potenziale di prolungare la durata di un esercizio può rappresentare un’altra buona guida per la valutazione dell’intensità di un esercizio: più minuti o ripetizioni riuscite a fare, più quel certo esercizio o attività può, in prima analisi, considerarsi leggero. Ad esempio 5’ di addominali a corpo libero, se siete ben allenati, sono meno impegnativi di 5’ di piegamenti delle braccia.
Va da sé che un impegno prevalentemente aerobico ma estremamente intenso (come una maratona, una 10 km di nuoto, una cronometro in bicicletta…) può risultare estremamente affaticante, più di una serie di sprint brevi o di salti.
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Recupero attivo, recupero passivo

Come regola generale, direi che più c’è stata intensità, più la coda del nostro allenamento − la discesa della nostra gaussiana − dovrebbe essere graduale. Vorrei farvi un caso tecnico per capire meglio cosa ci succede, ad esempio, dopo uno sforzo intenso.
Pensiamo ad un duecentista del nuoto, impegnato in un allenamento che prevede 5 prove sui 100 metri al 95% dell’impegno massimo con 15’ di recupero tra le prove. Se l’atleta si sdraia a riposare dopo una prova e resta immobile per 10-15 minuti, quando si rialza la sua capacità di prestazione toccherà il valore minimo: la prova successiva sarà spenta. Il sistema nervoso centrale “stacca la spina”, per così dire, andando − quasi letteralmente − in letargo.
Vorrei farvi notare che quel che succede non ha nulla a che vedere con un eventuale abbassamento della temperatura, o col fatto che l’atleta si copra e si asciughi oppure no: in termini gaussiani, il nostro amico non ha fatto altro che troncare di netto la coda della curva, sostituendo una discesa graduale con una parete verticale. Se il riposo fosse stato più attivo, cioè se ci fosse stato un passaggio più graduale da un’attività di intensità praticamente massima al riposo, la sua efficienza prestativa si sarebbe mantenuta alta.
Specularmente al riscaldamento il defaticamento non è altro, quindi, che il passaggio più graduale e fisiologico tra l’attività intensa e la condizione di riposo.
Nella scarna definizione appena data c’è più di quanto probabilmente appaia all’occhio del profano; si potrebbe osservare infatti che, se dopo l’allenamento l’atleta vuole solo riposare, ben venga un abbassamento repentino della prestazione. Ma il defaticamento è ben più di come appare dall’esempio appena fatto: la sua funzione è di riportare gradualmente le funzioni, i tessuti, le attività dell’organismo alla condizione di riposo, con tutte le relative conseguenze fisiologiche. Col defaticamento

  • preveniamo lo spegnimento del SNC, evitando di sentirci eccessivamente stanchi o spenti dopo allenamenti intensi;
  • riduciamo l’affaticamento che segue ad ogni allenamento;
  • favoriamo la capacità autoriparativa delle cellule e dei tessuti messi a dura prova dall’allenamento;
  • favoriamo la nostra longevità atletica;
  • manteniamo alta più a lungo la temperatura dei muscoli, evitando che si raffreddino troppo in fretta quando son congestionati dalla fatica (fattore che aumenta i tempi di recupero ed il DOMS);
  • favoriamo l’ossigenazione e lo smaltimento della fatica da parte dei muscoli, tra l’altro riducendo l’eventuale concentrazione locale di acido lattico e distribuendolo nel torrente ematico;
  • regolarizziamo il valore LEC/LIC (cioè il rapporto tra i liquidi extracellulari ed intracellulari), cofattore della velocità di recupero e del DOMS.

Il defaticamento ha quindi una funzione legata al benessere individuale, ma anche un valore strategico relativo alla performance in senso stretto: un atleta che dopo poche ore (o il giorno dopo) deve affrontare un’altra gara o ha un’altra seduta di allenamento, ha tutto l’interesse a minimizzare i tempi di recupero massimizzando, al contempo, la propria capacità di prestazione nel medio termine.
Per quanto possa apparire antintuitivo, quindi, più lavoro equivale in questa accezione a meno fatica! Un ciclista che dopo una cronometro passa diversi minuti pedalando tranquillamente sui rulli, e dopo la doccia passa al massaggio; o un mezzofondista dell’atletica che dopo la gara fa alcuni giri di campo ad andatura molto blanda, non fanno che applicare i concetti che abbiamo illustrato. Non stupitevi se vedrete atleti di livello anche buono interrompere lo sforzo di colpo, ad esempio in TV: a volte le condizioni organizzative non consentono libertà in questo senso, ma più spesso gli atleti si spostano in altre strutture (campo di riscaldamento, piscina secondaria, palestra ecc.) lontano dagli occhi delle telecamere. In alcuni casi, però, si tratta effettivamente di pura… incuria ;)

Image courtesy albanesi.it
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