No pain ? No, gain !

La sofferenza di Dorando Pietri

Dorandi Pietri taglia il traguardo della maratona nelle Olimpiadi di Londra del 1908: una delle immagini più famose della storia dello sport.

Conoscete l’espressione inglese no pain, no gain? Credo sia molto famosa anche al di fuori dei Paesi anglosassoni. Significa più o meno “non c’è miglioramento senza sofferenza”. Nel corso dei decenni e di traverso alle culture questo adagio è stato declinato in tutte le possibili forme, arrivando ad assumere significati molto lontani dall’intenzione originaria, fino a trasformarsi in una sindrome psicologica piuttosto seria: la sindrome npng.

La sindrome npng è una malattia mentale; le sue radici si trovano in tutte le civiltà conosciute, ed oggi questa sindrome è diffusa a livello mondiale e si applica – ahimè – a tutti gli àmbiti del vivere. Chi soffre della sindrome npng è patologicamente convinto che non si possono fare progressi reali in una disciplina se non c’è stata sofferenza nello studio, o nell’allenamento.

Si tratta quindi di una sindrome abbastanza grave, che può portare a conseguenze poco piacevoli. Molti, infatti, si sono convinti che non sentire un certo dolore o bruciore muscolo-articolare quando si esercitano sia chiaro indice di un lavoro insufficiente e poco redditizio. Quando non sentono un qualche disagio quasi si sentono in colpa, per inadempienza
Una declinazione classica di questa patologia si riscontra ad esempio in un certo modo di fare stretching. Un mio vecchio allenatore, spronando certi suoi allievi nello stretching con rimbalzo, ripeteva “spingi, spingi… è l’ultimo centimetro che fa la differenza!”. Davvero ne ha uccisi più la lingua che la spada.
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Conseguenze

Su questa fase − che chiamerei di apprezzamento del dolore – può innestarsi la tendenza ad una sorta di anestesia locale che mette a dormire, letteralmente, una parte del cervello: smettiamo di ascoltare le sensazioni (spiacevoli) durante e dopo gli allenamenti, semplicemente per il fatto che non sono gradevoli.
Una delle conseguenze più eclatanti (ma non necessariamente la più importante) è che perdiamo parte di quella naturale sensibilità che ci permette di capire quando stiamo esagerando, quando stiamo facendoci del male, quando stiamo scomodi… Alcune persone arrivano a sviluppare patologie da traumi cumulativi: patologie che si manifestano nel tempo, in seguito a diversi insulti ripetuti e troppo ravvicinati nel tempo.
E invece, l’ascolto delle sensazioni nel corso dell’attività fisica è, come tutte le espressioni di integrità corporea, un piacere spontaneo e del tutto naturale finché vissuto con equilibrio e senza scadere nell’ipersensibilità o, peggio, nell’ipocondria.

Indagare i motivi per cui tale grossolana deformazione della realtà umana si sia affermata esula dai fini di questa rubrica; ci basterà riflettere sul fatto che nessuna cultura ha saputo insegnare ai suoi figli un modo veramente sano di vivere e percepire piaceri e desideri.

Il significato originale di no pain, no gain è uno sprone ad impegnarsi nelle nostre attività ed interessi, per ottenere dei risultati importanti: senza impegno non riuscirai a fare cosse speciali. Già così l’espressione mostra punti deboli, ad esempio il non tener conto di chi nasce già estremamente dotato e versato in un’espressione artistica, intellettuale, sportiva…
La cultura condivisa ci insegna comunque che ciò che otteniamo con sforzo è più valido, più nobile e più meritorio di ciò che ci viene facile. Ho molto da ridire su questa concezione, ma taccio.
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Per iniziare

Quando si comincia a fare attività sportiva da soli solitamente si commettono svariati errori: dal dosaggio del lavoro alla gestione dei piccoli e grandi problemi che possono manifestarsi, fino a come interpretare la reazione ad una tecnica o un allenamento.
Solitamente il principiante getta il suo cuore sul campo manifestando una grande voglia di fare: si allena tutti i giorni , e si sforza molto anche negli allenamenti, convinto del fatto che la sofferenza sia necessaria per ottenere dei risultati. Solitamente dopo qualche giorno o settimana di questa routine finisce per abbandonare, convincendosi di essere troppo pigro per l’attività fisica. Che peccato! Il movimento fisico serve all’uomo come gli serve l’aria che respira. È invece vero il contrario: a qualsiasi livello di qualificazione è certamente molto meglio fare poco che fare troppo.
Opportuno, quindi, costruire una solida base di prestazione .

Non avete mai fatto attività fisica in vita vostra, o siete fermi da più di un anno? Non cominciate ad allenarvi tutti i giorni. Se volete intraprendere un’attività sportiva, e non l’avete mai fatto prima, cominciate col costruirvi le basi fisiologiche per una buona prestazione rinforzando i muscoli nel modo più opportuno, curando la postura e facendo stretching in maniera razionale: eviterete di soffrire inutilmente, di stancare in maniera sbagliata tendini, articolazioni e muscoli, e di acquisire vizi posturali. Aumentate poi quantità e intensità nei modi più idonei e nei giusti tempi: farete progressi più importanti nel corso del tempo e vi divertirete molto di più.

Prendete almeno un giorno di riposo tra due allenamenti: tre sessioni a settimana costituisce un eccellente modo di fare attività, e se non avete esigenze particolari o desideri diversi potrete continuare così anche per tutta la vita (naturalmente cambiando tecniche di allenamento e tabelle nel corso del tempo a seconda dei vostri obbiettivi e necessità).
Se invece volete allenarvi quattro volte a settimana sarà inevitabile fare una o due coppie di allenamenti in giorni consecutivi: a meno che non alleniate muscoli diversi nei due giorni adiacenti, vi consiglio di passare a questa programmazione solo quando siete abbastanza allenati da non avvertire dolori muscolari il giorno seguente ad un consueto allenamento.
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Un chiarimento

A questo punto è necessario un chiarimento, per non banalizzare il mio discorso.
È vero, gli atleti esperti − professionisti o comunque agonisti – si allenano a volte molto duramente. Ed è vero che esistono tecniche di allenamento particolarmente impegnative, a volte al limite del dolore; ma altro è credere che l’allenamento debba coincidere necessariamente con la sofferenza, altro avere la maturità e la consapevolezza per conoscere a fondo le proprie caratteristiche ed i propri limiti, e sapere che in particolari circostanze, quando si desidera spingere di più, si può attingere a risorse speciali per risultati speciali.
Un ulteriore livello consiste in quella speciale condizione quasi di trance estatica a volte sperimentata da chi si allena, nella quale la sofferenza cambia di significato perché profondamente legata ad un particolare sentire. Arnold Schwarzenegger racconta che durante allenamenti molto pesanti sentiva come i muscoli, sottoposti allo sforzo del bilanciere, si gonfiassero fino a riempire la stanza; ed ha detto che questa condizione era per lui più eccitante che fare l’amore. Quale che sia il giudizio sul personaggio, capite come qui il concetto di allenamento come sofferenza cambi del tutto significato.

Non esiste alcuno sport nel quale si debba forzare al massimo ogni esercizio, ogni allenamento, tutti i giorni dell’anno. Anzi, fare questo comprometterebbe irreparabilmente qualsiasi programma di allenamento per quanto ben concepito. Per restare nell’ambito del bodybuilding, ad esempio, scoprirete come si possano ottenere risultati eccellenti spingendo le serie a non più dell’85-90% dello sforzo massimo, esprimendo tra l’altro uno sforzo molto più fisiologico e meglio gestibile nel corso degli anni.

Ma quanti giorni a settimana sarebbe giusto allenarsi? Benché possa apparire controintuitivo a chi non è addentro alle cose della fisiologia, esistono casi nei quali è decisamente sconsigliato allenarsi più di un certo numero di giorni a settimana o fare allenamenti troppo ravvicinati. Questo dipende dal tipo di allenamenti che si fanno, e dal fine che si intende raggiungere. Ne parliamo a partire dal prossimo post.

Image courtesy fulmicotone.com
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